zur Startseite
Mostre | Mostra

GirovagArte. Fotografie di Samanta Sollima

Museo di Roma

Dalla periferia al cuore di Roma, la bellezza accessibile della capitale nei 42 ritratti di persone con disabilità firmati da Samanta Sollima. Una mostra per raccontare le emozioni dell’incontro con l’arte ma anche l’avventura nel ridisegnare una mappa della cultura accessibile a Roma attraverso il progetto GirovagArte, il programma di visite guidate dell’Associazione Handicap Noi e gli Altri nato nel 2018. Nei ritratti di Samanta Sollima emergono le sensazioni vissute nel profondo dai visitatori e delle loro famiglie nella cornice delle tappe toccate in quattro anni: dai Musei Capitolini al Museo di Roma in Palazzo Braschi, al Chiostro del Bramante e la Basilica di San Paolo Fuori le Mura, a cui si aggiungono i Musei di Villa Torlonia, la Centrale Montemartini e i Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali; ma anche l’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata e la street art di Tor Pignattara. Destinazioni scelte non solo per la loro varietà, storia e bellezza ma anche basandosi sul criterio dell’accessibilità, selezionando e mappando, quindi, quei luoghi il cui impianto risulta più facilmente accessibile alle persone con disabilità motorie. Il progetto, ideato da Rocco Luigi Mangiavillano dell’Associazione Handicap Noi e gli Altri – attiva da 35 anni sul territorio di Tor Bella Monaca – è nato per promuovere la fruizione e l’accessibilità presso i luoghi della cultura e dell’arte di Roma e dintorni, per le persone con disabilità, svantaggio socio-economico e con forte rischio di emarginazione ed esclusione sociale. Con questa iniziativa, realizzata anche grazie al sostegno economico riconosciuto dall’Otto per mille della Chiesa Valdese, l’Associazione ha voluto intessere connessioni tra periferia e centro, usando l’arte come medium e affidando alla bellezza il compito di abbattere le barriere invisibili che determinano dinamiche di emarginazione ed esclusione sociale. Samanta Sollima è nata e vive a Roma. Ha lavorato circa dieci anni per cinema e televisione come aiuto regista, sviluppando e applicando la passione per la fotografia con foto di scena, ritratti di attori e foto di backstage. Il suo primo progetto fotografico “Vita sulle Punte” in collaborazione con Officine Fotografiche, finalista al Sony World Photography Awards, è stato oggetto di varie esposizioni personali. Come fotografa ritrattista e di scena ha collaborato con vari teatri, tra cui il teatro Parioli e il teatro di Tor Bella Monaca di Roma, il teatro della Pergola e il teatro Comunale di Firenze. Attiva nel volontariato, collabora da anni come fotografa con l‘Associazione Handicap noi e gli altri. L’Associazione di Promozione Sociale senza fini di lucro Handicap Noi e gli Altri nasce ufficialmente in VIII Circoscrizione nel 1987 grazie all'impulso di un medico di famiglia, una biologa e un pilota dell'aviazione civile. Sotto la guida ventennale di una persona con disabilità, insieme alla collaborazione attiva di operatori sociali e volontari, l’Associazione stabilisce la sua sede nel quartiere di Tor Bella Monaca con il proposito di costruire una rete territoriale per la tutela dei diritti delle persone con disabilità, con l’impegno di creare spazi di solidarietà, iniziative collettive, incontri, progetti e attività sociali. L’Associazione persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale, umana, civile e di promozione culturale.
Mostre | Mostra

I Romanisti

Museo di Roma

La vita e la cultura a Roma tra la fine degli anni Venti e il 1940, nella prospettiva specifica dei “Romanisti”, ossia studiosi, accademici e cultori della città. L’esposizione, a cura di Roberta Perfetti e Silvia Telmon, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con la collaborazione del Gruppo dei Romanisti. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Nel decennio 1929-1940 prendono vita e si diffondono, in diversi cenacoli e salotti letterari della capitale, l’appassionato studio e la vivace promozione della cultura “romanista”, intesa nella più ampia accezione dei fenomeni letterari, artistici, antiquari e di spettacolo. Ne sono promotori numerosi intellettuali romani e stranieri, costituitisi spontaneamente in un circolo di amici – inizialmente conosciuti come Romani della Cisterna – che accrescendosi per tappe successive con altri apporti, acquisiranno una fisionomia stabile alla fine degli anni Trenta e costituiranno ufficialmente il sodalizio denominato “Gruppo dei Romanisti”. Gli aderenti al Gruppo sono decisi ad operare per il progresso degli studi su Roma e la loro divulgazione e per mantenere vivo, in ogni campo, lo spirito della romanità, mettendone in luce il patrimonio storico-artistico, le vicende, gli uomini illustri, le tradizioni, il dialetto. Il percorso espositivo è articolato in 5 sezioni e circa 100 opere tra pittura, scultura, grafica, fotografia e documenti, provenienti in gran parte dal Museo di Roma, dalla Galleria d’Arte Moderna, dal Museo di Roma in Trastevere e dai Fondi Trilussa della Sovrintendenza Capitolina e dall’archivio del Gruppo dei Romanisti. La mostra si apre con la prima sezione, dal titolo Romani della Cisterna, che introduce l’Osteria della Cisterna in Trastevere, il luogo dove nel 1929 affiora l’idea di fondare il cenacolo di romani autentici. I fondatori furono: Ettore Petrolini, Trilussa, Augusto Jandolo, Giuseppe Ceccarelli, Vitaliano Rotellini, Ettore Veo, Franco Liberati e Ignazio Mascalchi. Durante i pasti, sempre rumorosi e animati, s’intrecciavano discussioni su questioni artistiche, letterarie o archeologiche, trasformando l’osteria in un’accademia. La seconda sezione, dal titolo La passione antiquaria, illustra come negli anni Trenta Roma assista a un’eccezionale espansione urbanistica che comporta interventi di demolizione radicale. Nasce, così, da tanti illustri antichisti, archeologi e storici dell’arte come Ferdinando Castagnoli, Massimo Pallottino, Carlo Pietrangeli, Pietro Romanelli, Richard Krautheimer, Antonio Muñoz, Diego Angeli, sostenitori del Gruppo dei Romanisti, la necessità di preservare e restaurare il vasto patrimonio archeologico e artistico. Il percorso espositivo prosegue con la terza sezione, dal titolo Con Trilussa. Cofondatore del primo nucleo dei Romanisti della Cisterna e grande amico di Ettore Petrolini, Carlo Alberto Camillo Salustri, con lo pseudonimo anagrammatico di Trilussa, è stato un vero protagonista della cultura romana negli anni Trenta: come poeta, scrittore e giornalista ha prodotto un notevole patrimonio composto, tra l’altro, dai circa 11.000 documenti, opere d’arte, fotografie, libri, lettere conservati presso il Museo di Roma in Trastevere, che permettono di ricostruire il clima e la moda dell’epoca. In particolare, i rapporti instaurati nel corso della sua vita con alcune personalità di indiscusso rilievo come Luigi Pirandello, Gabriele D’Annunzio, Massimo Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti e Giacomo Balla, raccontano quanto fosse brillante la vita culturale romana, magari creata nelle conviviali romaniste in osteria, rompendo dialetticamente la propaganda ufficiale. Allestita nella “Sala del Pianoforte”, la quarta sezione - In Atelier - racconta come negli anni Trenta molti artisti romani e residenti nella capitale si dedicassero alla pittura di paesaggio urbano, rappresentando una parte della città medioevale distrutta per far posto alla Roma fascista. L’interpretazione visionaria dell’Urbe si apprezza in una pittura elaborata e senza contorno, dove la variazione dei toni di luce rarefatti e gli schizzi di colore evocano il mutamento solido della città, mentre l’atmosfera ne tradisce il trasporto emotivo. Orazio Amato, Carlo Alberto Petrucci, Orfeo Tamburi, Diego Angeli in veste di pittore, sono solo alcuni degli artisti presenti all’interno del sodalizio dei Romanisti e, insieme a Duilio Cambellotti e Antonio Barrera, stretti collaboratori delle iniziative culturali organizzate dai fondatori dei Romani della Cisterna, hanno assistito alla trasformazione culturale di Roma nei primi decenni del Novecento. Infine, l’ultima sezione, dal titolo Il Gruppo dei Romanisti, ripercorre la nascita ufficiale del sodalizio. Nello studio in Via Margutta dell’antiquario e poeta Augusto Jandolo, dove presto le riunioni iniziarono a svolgersi con regolarità, il primo mercoledì di ogni mese, nacque anche nel 1940 la pubblicazione annuale della “Strenna dei Romanisti”, il cui primo numero, di circa 100 pagine, può essere ammirato in mostra. Ancora oggi l’antologia, con articoli, saggi, storie, poesie, memorie e illustrazioni di argomento romano, viene tradizionalmente consegnata dai Romanisti al sindaco il 21 aprile, Natale di Roma, come omaggio e testimonianza degli studi e della passione per la città. A corredo della mostra, da gennaio a maggio 2023, verrà proposto anche il ciclo di incontri “Il Gruppo dei Romanisti si racconta”, ideato e coordinato da Donato Tamblé, Presidente del Gruppo dei Romanisti. Questo programma di conferenze, reading e concerti offrirà l’occasione per approfondire l’orizzonte documentario e narrativo del mondo dei Romanisti fino ai giorni nostri. Dal martedì alla domenica ore 10.00-20.00 24 e 31 dicembre 10.00-14.00 Ultimo ingresso un'ora prima della chiusura Giorni di chiusura: lunedì, 1° gennaio e 25 dicembre
Mostre | Mostra

Riccardo Venturi. Stati d’infanzia – Viaggio nel paese che cresce

Museo di Roma

Con oltre 80 fotografie la mostra presenta il reportage dell’importante missione dell’impresa sociale “Con i Bambini” e pone al centro il tema delle disuguaglianze e delle marginalità, dell’esclusione sociale e della dispersione scolastica. L’obiettivo è quello di mettere in luce la complessità e le difficoltà, ma anche le possibilità di rinnovamento e il cambio di rotta necessario e possibile attraverso sperimentazioni e “alleanze educative” tra scuola, terzo settore, istituzioni e famiglie. Sostenuto grazie al “Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile”, il progetto ha investito decine di "cantieri educativi italiani", dalle Valli Imagna e Brembana fino a Favara e Ragusa toccando le periferie delle grandi città affrontando temi di grande attualità diventati spesso vera e propria emergenza a causa della pandemia e del lockdown. L’aumento di fenomeni legati ai disordini alimentari, alla xenofobia, alla tossicodipendenza, all’isolamento sociale con il fenomeno degli hikikomori e dei neet, al degrado delle periferie, alla violenza domestica ha fatto emergere ulteriormente la fragilità della nostra società, evidenziando come il tema delle marginalità non sia un fatto isolato ma un fenomeno sociale complesso e stratificato. Il lavoro proposto da Riccardo Venturi, due volte Word Press Photo e una lunga esperienza sul tema dell’infanzia, e da Arianna Massimi insiste sull’invisibilità di questi temi, ponendosi in una dimensione di ascolto e rispetto. Il documentario – visibile all’interno della mostra, curata da Ilaria Prili – racconta le esperienze e le impressioni dei protagonisti, dà parola ai ragazzi coinvolti nelle attività dei progetti sostenuti da Con i Bambini, esplora le nuove geografie sociali anche attraverso i contributi di personaggi di spicco del panorama educativo e sociale italiano, tra cui Marco Rossi-Doria, presidente di Con i Bambini e Vanessa Pallucchi, vicepresidente di Legambiente e portavoce del Forum Terzo Settore. Il progetto multimediale, composto da una mostra fotografica e da un video documentario, accolto da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è promosso e prodotto dall’impresa sociale Con i Bambini, nell'ambito del Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile. 
Mostre | Mostra

Domiziano Imperatore. Odio e amore

Museo di Roma

La Mostra, curata a Roma dalla Sovrintendenza, si prefigge lo scopo di offrire al pubblico la possibilità di conoscere un imperatore spesso trascurato, ma che ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione di Roma e del suo impero così come li percepiamo ancora oggi. Attraverso le opere selezionate, la mostra intende narrare la vita dell’imperatore e della sua famiglia, nonché quelle della corte che lo circondava e dei suoi sudditi, attraverso le parole degli autori antichi, i monumenti architettonici, l’arte del periodo e gli oggetti quotidiani; la Mostra prevede numerosi prestiti internazionali dai più importanti musei dal mondo.
Mostre | Mostra

Disko Bay. Olaf Wipperfürth

Museo di Roma

La mostra prende il nome da un’area costiera frastagliata a trecento chilometri dal Circolo Polare Artico, nota per le sue masse di iceberg galleggianti. L’esposizione, inedita, riflette su uno dei temi ambientali più attuali: il surriscaldamento globale e lo scioglimento dei ghiacciai e si inserisce nel calendario ufficiale degli eventi In Town della Roma Fashion Week organizzata da Altaroma (11-15 luglio 2022). È l’estate del 2019 quando Olaf Wipperfürth, artista, fotografo di moda e regista tedesco, decide di viaggiare sulla costa occidentale della Groenlandia per realizzare alcuni scatti di montagne e alture. Attratto da sempre dalla natura più estrema e grande esperto di ice climber esplora la Baia Disko Bay, un’area costiera frastagliata a trecento chilometri dal Circolo Polare Artico, nota per le sue masse di iceberg galleggianti che si staccano dal ghiacciaio interno nel fiordo marino di Ilulissat. La zona è conosciuta come luogo dove fa capolinea l’alta pressione e dove le giornate sono serene tutto l’anno. Davanti al suo obiettivo si stagliano i ghiacciai alla deriva, gigantesche candide masse che si muovono e si disgelano progressivamente, simili a cubetti di ghiaccio sciolti in un bicchiere. È in atto una frammentazione ecologica dovuta al cambiamento climatico determinato in particolare dal riscaldamento globale provocato dalle attività dell’uomo. La massiccia perdita di ghiaccio registrata negli ultimi venti anni in Groenlandia è dovuta al fenomeno dell’undercutting, ovvero quando i ghiacciai iniziano a ritirarsi entrano in contatto con le masse d’acqua sottostanti, che sono più calde, per cui il ghiaccio si scioglie dal basso determinando un maggiore assottigliamento che velocizza il processo di ritiro. Assistere da vicino a questa trasformazione induce Olaf Wipperfürth a percorrere una nuova direzione nella sua ricerca che lo porta a superare l’utilizzo del linguaggio puramente fotografico e lo conduce alla creazione di una nuova visione. Attraverso l’inserimento di tracce e strati di pittura che alterano e mutano l’immagine reale, l’artista mostra un panorama ideale, utopico, singolare. I paesaggi fluttuanti di questi giganti in movimento nella loro ambientazione monocromatica erano puramente sublimi spiega l’artista. La mostra Disko Bay, presentata per la prima volta in Italia, è espressione di sintesi tra il linguaggio fotografico e quello pittorico. Il processo è molteplice: l’artista lavora attraverso l’applicazione di vari strati di colore acrilico sull’immagine che viene più volte fotografata fino a raggiungere un’astrazione materica che supera la pura bidimensionalità. Olaf Wipperfürth osserva la natura che cambia, è alla ricerca del mistero del sacro, di un’assenza-presenza, di un paesaggio mistico. Ritrova una relazione tra la fragilità dell’ambiente e la caducità della pennellata. Laddove appaiono i segni che evidenziano l’abbassamento dell’acqua la pittura diventa la cura riparatrice delle ferite subite. Il colore impresso diviene velo protettivo che cerca di tenere al riparo la grandezza e meraviglia del creato ma allo stesso tempo ne evidenzia la fragilità. In alcune immagini la fotografia originale scompare quasi del tutto per dar vita a uno scenario nuovo. Tocchi di blu, di giallo, di arancio ripercorrono memorie perdute, cielo e terra si fondono in una miscela inedita di nuances. In uno spazio effimero e in un tempo che sfugge l’azzurro del cielo diventa bianco, il blu del mare diventa ghiaccio. Ogni iceberg incarna l’evoluzione del nostro pianeta, una raccolta di memorie geologiche che porta necessariamente ad una profonda riflessione.
Mostre | Mostra

Sten Lex. Rinascita - Intervento artistico site specific

Museo di Roma

Esposto, sulle pareti del chiostro-giardino, l'intervento in stencil poster site specific dall'emozionante titolo "Rinascita", appositamente realizzato per la Galleria in collaborazione con Wunderkammern Gallery. Rinascita, rinnovamento e rigenerazione sono solo alcuni dei temi ideali percorsi da Sten Lex, pionieri dello stencil poster, che li ha resi tra i muralisti italiani più celebri a livello internazionale. Il duo Sten Lex, che giocano sull'ambiguità dell'irriconoscibilità, é formato da un'artista romano e da una tarantina, classe ’79-’80. I loro nomi compaiono per la prima volta sui muri romani nel 2001 con forti richiami al cinema, all’arte sacra e alla cultura pop, prima separatamente, realizzando ritratti di personaggi dei b-movies italiani e telefilm americani anni ’70 come Hitchcock, Orson Welles e Bergman. A partire dal 2005, le loro strade e i loro nomi si uniscono, sprigionando il doppio dell’energia e della creatività nelle loro opere. Passando dai volti iconici di francobolli e banconote ai disegni e poster su carta velina, arrivano alla creazione di quella che definiscono Hole School, introducendo la mezzatinta nello stencil, figure optical composte da pixel o linee. Dal 2010 al 2013, realizzano ritratti di persone anonime su grandi facciate, per lo più studenti e professori ripresi da annuari universitari degli anni ’60-’90: è questo il periodo dove più si allontanano dall’iconografia Pop per dare spazio a personaggi sconosciuti appartenenti alla classe media. La costante sperimentazione, che costituisce il segno della loro arte, conduce presto i due artisti all’invenzione dello “stencil poster”, una tecnica basata sullo stencil, che si ispira alle incisioni classiche e alle stampe odierne, designandoli come “incisori del nuovo millennio”. Lo Stencil Poster consiste nell’incollare un poster a parete come fosse carta da parati che poi viene dipinto e infine lasciando che gli agenti atmosferici, sostituendosi agli artisti, rivelino l’opera finale distruggendo la matrice di carta e facendo emergere il dipinto sottostante. Questo processo va contro l’utilizzo principale dello stencil che è la sua riproducibilità, la matrice decadendo rende l’opera “unica” e non più replicabile, un paradosso della tecnica. Il loro stile si evolve ancora in maniera sorprendente dal 2013, epoca in cui i due artisti virano dal figurativo verso la composizione di forme, linee e paesaggi astratti, subendo l’influenza di artisti quali Kandinskij, Mirò, Dorazio, Twombly, Sol LeWitt, e Frank Stella ma non abbandonando mai la strada, luogo dove tutto ha avuto inizio. Apprezzati non solo in Italia, nel 2008 vengono invitati da Banksy al suo Cans Festival a Londra e, sempre più richiesti, negli anni seguenti iniziano a lavorare superfici immense creando opere gigantesche per alcuni dei più importanti festival a livello internazionale come il Nuart Festival di Stavanger in Norvegia (2008, 2010), il Living Walls di Atlanta negli USA (2012), il Katowice Street Art Festival in Polonia (2013), il Palma festival a Caen in Francia (2019) e molti altri. Nel 2014, l’Istituto di Cultura Italiano li supporta per realizzare una facciata a Shangai, dal titolo “Vulcano”. Nel 2014 realizzano “Arazzo” al Foro Italico di Roma. Lo stesso anno partecipano a mostre collettive in musei di arte contemporanea come il Maco di Oaxaca in Messico, la Caixa Cultural di San Paolo in Brasile e il Cafa Museum in Beijing. Tra i loro ultimi progetti è da ricordare la partecipazione alla mostra “Cross the Streets”, al MACRO di Roma nel 2017.
Mostre | Mostra

Colori dei Romani. I mosaici dalle Collezioni Capitoline

Museo di Roma

Si arricchisce di sei nuove opere la mostra Colori dei Romani. I Mosaici dalle Collezioni Capitoline dal 24 novembre. Prorogata al 15 gennaio 2023 Un evento importante per raccontare, attraverso la trama colorata di queste opere, brani di storia della città di Roma, illustrando nel modo più completo i contesti originari di rinvenimento. Accanto ai mosaici sono esposti anche gli affreschi e le sculture che insieme ad essi costituivano l’arredo degli edifici di provenienza; questa presentazione d’insieme consente di interpretare le scelte iconografiche, i motivi decorativi, l’aspetto formale delle opere come espressione del gusto e delle esigenze dei committenti. Tutto questo offre un significativo spaccato della società romana in un ampio periodo compreso tra il I secolo a.C. e il IV d.C. La ricca e preziosa documentazione d’archivio, messa a corredo delle opere esposte, illustra i rinvenimenti con foto storiche, acquarelli e disegni, testimonianze che aiutano a raccontare il clima e le circostanze che determinarono queste scoperte: le trasformazioni urbanistiche e il fervore edilizio che caratterizzarono la storia di Roma tra gli ultimi decenni dell’800 e i primi decenni del secolo scorso, quando, parallelamente al progressivo ampliamento della città per far fronte alla sua nuova funzione di capitale d’Italia, fu scritta una delle più “fortunate” pagine dell’archeologia romana. Alcuni dei mosaici esposti alla Centrale Montemartini sono stati presentati nel 2019 in una mostra di grande successo allestita in tre sedi dell’area geografica balcanica: la prima e la seconda dal titolo “Visioni colorate dell’antica Roma. Mosaici dai Musei Capitolini” nel National Archaeological Institute with Museum at the Bulgarian Academy of Sciences a Sofia (16 maggio-3 agosto 2019) e nella Galleria Nazionale dell’Armenia a Jerevan (9 agosto-29 settembre 2019), la terza dal titolo “Antica Roma a colori. Mosaici dai Musei Capitolini” nel Museo della Georgia Simon Janashia di Tbilisi (10 ottobre-10 dicembre 2019). L’esposizione si articola in quattro sezioni tematiche, all’interno delle quali il percorso segue un ordine cronologico.
Mostre | Mostra

Il mosaico della “Real Casa”

Museo di Roma

In esposizione dal 2 aprile 2022 alla Centrale Montemartini un mosaico pavimentale restaurato di epoca tardo imperiale. Il mosaico fu scoperto a Roma nel 1900 in via XX Settembre nella zona tra il Ministero della Real Casa e il giardino, nei pressi dell’attuale Giardino del Quirinale. I frammenti dell’opera musiva, risalente alla metà del III/inizio del IV secolo d.C., facevano parte di un ampio mosaico pavimentale, già interessato al momento della scoperta da estese lacune causate dall’inserimento di strutture moderne che hanno distrutto parte della pavimentazione. La superficie è interamente decorata da girali vegetali che fuoriescono da kantharoi, contenitori con alti manici, collocati negli angoli e al centro dei lati lunghi del pavimento. La composizione è vivacizzata dall’inserimento di un riquadro policromo, collocato in posizione decentrata. Qui, all’interno di un campo giallo, è inserito un fiore a quattro petali con piccole foglie lanceolate negli spazi di risulta della composizione; una fascia separa questa decorazione da una cornice con motivo di fogliette di alloro stilizzate. Il grande ambiente pavimentato da questo mosaico, dalla superficie originaria di 8,40 x 6,70 metri, era la sala di rappresentanza di una nobile abitazione di epoca tardo-imperiale. In questo periodo si prediligono per i mosaici temi decorativi geometrici o riferiti al mondo della natura, mentre meno frequenti sono le tematiche mitologiche e quelle relative alla vita quotidiana, più diffuse nelle epoche precedenti. Il restauro del mosaico ha comportato lo strappo dalla superficie su cui era collocato in origine, operazione sempre traumatica, ma necessaria nei numerosissimi casi in cui risulta l’unica soluzione per conservare resti altrimenti destinati alla distruzione a causa delle necessità derivate da trasformazioni urbane e del territorio. Le operazioni di restauro e conservazione successive a tali eventi hanno quindi lo scopo di ripristinare le condizioni di stabilità dei tappeti musivi che al momento dello strappo possono subire danni per l’asportazione delle malte originali con conseguente rischio per la continuità e la corretta disposizione delle tessere. Nel caso dei quattro mosaici oggetto del restauro che si presenta in questa occasione, le condizioni dei supporti hanno fortemente risentito di una modalità di lavoro praticata in passato, in base alla quale le superfici a mosaico erano allettate su nuovi supporti in malta cementizia rinforzata con un'armatura di barre in lega di ferro. Le operazioni conservative si sono svolte in due fasi principali: 1) rimozione del supporto in cemento e armatura in ferro; 2) ricostruzione del supporto secondo modalità adeguate ai moderni standard conservativi. Operazioni preliminari sono state la documentazione fotografica relativa all’ante operam, il trattamento biocida, la pulitura preliminare e la protezione della superficie musiva tramite bendaggio. Si è quindi proceduto all’abbassamento del massetto e alla rimozione dei ferri. La fase di ricomposizione del supporto ha visto la posa di uno strato di malta a contatto con il massetto cementizio prossimo alle tessere musive e il posizionamento di un pannello di supporto in areolam. A completamento dell’intervento è stata effettuata la pulitura e la stuccatura delle superfici musive e si è proceduto alla stesura di una maltina liquida negli interstizi delle tessere. Un video permette di ripercorrere le fasi del restauro. Nell’esposizione del mosaico della Real Casa alla Centrale Montemartini i frammenti del pavimento restaurati, ma tra loro non combacianti, sono stati posizionati su un grande tappeto calpestabile realizzato in lionoleum, dove in scala 1:1 è riprodotto il motivo decorativo del mosaico. Questa ricostruzione grafica offre ai visitatori la visione d’insieme dell’opera, suggerendo con immediatezza la ricchezza decorativa del complesso disegno originario nell’ intento di restituire ciò che è andato irrimediabilmente perduto.
Mostre | Mostra

Cursus Honorum. Il governo di Roma prima di Cesare

Museo di Roma

Quattro voci maschili e una femminile rievocano le magistrature di età repubblicana, rivelando l’essenza della vita politica di Roma antica nell’età repubblicana. Parte integrante del progetto La Roma della Repubblica. Il racconto dell’Archeologia, la mostra è incentrata sulle cariche pubbliche dei magistrati di età repubblicana, il cursus honorum, aspetto fondamentale della vita politica di Roma antica. Protagonisti di questo racconto sono cinque personaggi anonimi raffigurati da altrettante statue che fungono da narratori di eccezione: quattro sono figure maschili a cui si aggiunge una voce diversa, una figura femminile, che rappresenta una realtà altrimenti assente in una società inevitabilmente dominata dagli uomini. Il loro compito è avvicinare il pubblico a monumenti di valore storico e simbolico che celebrano memorabili imprese belliche, insieme ad altri che ci illustrano ruoli legati all’amministrazione della città e alla costruzione del prestigio sociale degli individui e delle loro famiglie. Con l’aiuto di queste guide particolari, ai visitatori saranno ricordati episodi di guerra e conquiste che segnarono tappe fondamentali nella storia dell’espansione di Roma: esempio di spicco è la prima vittoria navale sui Cartaginesi nelle acque di Milazzo, ricordata dalla Colonna Rostrata eretta in onore del console Gaio Duilio. Questo e altri eventi sono narrati da tre statuae ritratto di travertino della metà del I secolo a.C., già a Villa Celimontana, che vestono il pallio, ossia il mantello che si indossava sulla tunica. Lo ius imaginum, ossia il diritto di conservare in casa i ritratti degli antenati da esibire durante i funerali e in particolari occasioni pubbliche, inizialmente esclusivo del patriziato ed esteso nel IV secolo a.C. anche ai plebei quando ebbero accesso alle cariche pubbliche, è invece narrato dal famoso “Togato Barberini” (dal nome della collezione di provenienza). La maestosa statua in marmo, databile al primo quarto del I secolo d.C., costituisce una testimonianza unica del sistema di autolegittimazione che le famiglie che detenevano il potere mettevano in atto, utilizzando la fama e il prestigio degli avi. La voce che anima la figura femminile, parte di un Gruppo funerario con fanciulla, realizzato in marmo lunense e databile alla metà circa del I secolo a.C., introduce infine ai monumenti funerari, in particolare ai sarcofagi provenienti dal sepolcro della gens Cornelia, rara testimonianza archeologica di una tomba gentilizia di età repubblicana. L’esibizione, lungo le strade che uscivano da Roma, delle architetture e delle pitture dei sepolcri gentilizi costituivano un altro elemento di ostentazione del potere acquisito. Nella mostra si dà conto, inoltre, delle caratteristiche delle magistrature romane: collegiali, e di durata limitata, in prevalenza annuale. I magistrati superiori – consoli, pretori, censori – erano eletti dai cittadini ripartiti in base al censo, riuniti nei comizi centuriati e contraddistinti da speciali attributi come la sedia curule, i fasci (simboli del potere coercitivo) e una speciale toga bordata. Erano i soli a poter celebrare il trionfo. I magistrati minori – questori, edili – erano eletti dai cittadini ripartiti per tribù, riuniti nei comizi tributi. L’ordine di successione delle cariche fu stabilito nel II secolo a.C. con una legge che specificava anche l’età minima dei candidati e il tempo che doveva trascorrere tra una magistratura e la successiva. Le tappe, in ordine ascendente, erano: questura, tribunato, edilità, pretura, consolato e censura, a cui va aggiunta l’investitura temporanea ed eccezionale della dittatura. Con l’avvento della Repubblica i poteri, in precedenza concentrati nella figura del re, erano stati distribuiti tra il pontefice massimo, cui spettavano le principali prerogative religiose, e i consoli, coppia di magistrati con competenze civili e comando militare. Per accedere al cursus honorum erano necessari, oltre a un censo minimo, fama e prestigio degli antenati: chi non apparteneva a poche illustri famiglie era un “uomo nuovo”. Le regole di ingresso alle magistrature e l’articolazione delle cariche subirono modificazioni nel tempo: l’accesso alle magistrature principali (consolato), inizialmente limitato ai membri delle famiglie patrizie, nel IV secolo a.C. fu esteso ai plebei. Con il progressivo aumento della potenza di Roma, si istituirono altre magistrature elettive con competenze circoscritte. La mostra si avvale in modo esclusivo di opere pertinenti alle collezioni capitoline, in parte provenienti dall’esposizione permanente della Centrale Montemartini, in parte solitamente non esposte. È stata questa – secondo un intento che la Direzione Musei Capitolini e musei archeologici persegue con l’organizzazione di mostre basate su materiali delle proprie collezioni – una nuova occasione per procedere con attività di conservazione, restauro e valorizzazione del ricchissimo patrimonio che occorre sempre più rendere accessibile al pubblico. È all’interno di questo quadro che si è proceduto con un allestimento multimediale, coinvolgente, volto ad avvicinare i visitatori ad argomenti complessi e a particolari monumenti; si pensi ai documenti epigrafici, importantissime fonti storiche dirette di non immediata lettura. L’esposizione si colloca, infine, come ideale trait-d’union tra la videoinstallazione L’eredità di Cesare e la conquista del tempo, visibile nella Sala della Lupa e dei Fasti Antichi del Palazzo dei Conservatori e l’esposizione Roma della Repubblica. Il racconto dell’Archeologia, di prossima realizzazione ai Musei Capitolini, Palazzo Caffarelli.
Mostre | Mostra

Napoleone ultimo atto. L’esilio, la morte, la memoria

Museo di Roma

Dedicata ai momenti estremi dell’epopea di Napoleone Bonaparte, l’esposizione del Museo Napoleonico intende illustrare le vicende dell’esilio e della morte dell’Imperatore a Sant’Elena attraverso un evocativo racconto visivo, costruito tramite stampe, acquerelli ed effigi scultoree e numismatiche. Il percorso espositivo si articola in quattro sezioni: Sant’Elena, l’ultima isola / Reliquie dall’esilio / «Il n’est plus» / Il ritorno delle ceneri a Parigi nel 1840, e si compone di circa 85 pezzi. Il materiale selezionato proviene interamente dalle collezioni del Museo Napoleonico. L’esposizione valorizza il rilevante nucleo di oggetti legato agli anni di Sant’Elena posseduto dal Museo Napoleonico. Spiccano l’iconica maschera funeraria dal calco del volto preso dal medico Antonmarchi subito dopo la morte di Napoleone e numerose “reliquie da contatto”. Si tratta di preziose tabacchiere, giochi di società, volumi provenienti dalla biblioteca, tessuti raffinati e capi di abbigliamento utilizzati quotidianamente da Napoleone durante il suo ultimo esilio: memorie, quindi, dotate di straordinario valore storico e simbolico. Lo stesso Napoleone ne era consapevole, tanto da esprimere nel proprio testamento – una copia del quale è presente in mostra – la volontà, poi disattesa, di destinare tali oggetti al figlio, a cui avrebbero trasmesso l’essenza del suo spirito. Alla narrazione visiva si intreccia il tema della costruzione e trasmissione della memoria della propria storia da parte di Napoleone, evocato dalla presenza di documenti e volumi, come l’esemplare del Memoriale di Sant’Elena di Emmanuel de Las Cases posseduto dal figlio di Napoleone. Quello di Napoleone verso Sant’Elena e l’altro, a ritroso, delle sue ceneri verso Parigi sono viaggi attraverso i due emisferi della terra, «dall’uno all’altro mar» si potrebbe dire prendendo in prestito e reinterpretando il verso manzoniano dell’ode Il Cinque Maggio. La mostra vuole seguire le rotte e illustrare gli esiti di questi viaggi, rievocandone le suggestioni. L’esposizione, a cura di Elena Camilli Giammei, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Organizzazione di Zètema Progetto Cultura. In occasione dell’esposizione, l’Associazione Amici dei Musei di Roma ha generosamente finanziato l’intervento di manutenzione conservativa della prestigiosa serie di litografie raffiguranti il Ritorno delle Ceneri di Napoleone a Parigi nel 1840, fulcro della sezione conclusiva. L’esposizione è inoltre accompagnata da un ciclo di appuntamenti culturali.
Mostre | Mostra

1932, l’elefante e il colle perduto

Museo di Roma

Una selezione di circa 100 opere, tra reperti archelogici, progetti grafici, oggetti d’arte e video, alcuni esposti per la prima volta, racconta la storia della perduta Velia e del “suo” elefante. Prorogata al 2 ottobre 2022 A 90 anni dalla scoperta, sono stati restaurati i resti fossili di elefante (Elephas antiquus) trovati alla base della collina Velia. L’intervento ha costituito l’occasione per proporre un insieme di opere, che gettano luce su un settore dell’area archeologica centrale interessato negli anni Trenta del Novecento da distruzioni e trasformazioni urbanistiche profonde. Un centinaio di queste opere, tra cui reperti archeologici, progetti grafici e opere d’arte, interamente provenienti dalle collezioni capitoline, alcuni dei quali identificati in occasione di recenti ricerche ed esposti al pubblico per la prima volta, compongono questa mostra. In soli due anni, tra 1931 e 1932, fu sbancato nel cuore di Roma un colle, la Velia, che si estendeva tra le pendici dell’Oppio e le propaggini del Palatino, separando l’area dei Fori Imperiali dal Colosseo. L’intervento da un lato risolveva la necessità di collegare piazza Venezia, via Cavour e i nuovi rioni del Celio e dell’Esquilino, dall’altro consentiva la realizzazione di una strada monumentale e scenografica da piazza Venezia al Colosseo. Si trattava di una passeggiata unica al mondo fiancheggiata dai monumenti della città antica che si andavano recuperando con le demolizioni del Quartiere Alessandrino, in atto dal 1924. La nuova arteria cittadina, che prese il nome di via dell’Impero (l’attuale via dei Fori Imperiali), fu inaugurata il 28 ottobre 1932 in occasione della celebrazione del decennale della Marcia su Roma, divenendo da quel momento luogo privilegiato delle parate e dei riti del regime. Il prezzo pagato dal patrimonio artistico e archeologico, a causa di questo sbancamento, fu molto alto. Si iniziò con lo smantellamento pressoché totale del giardino di Villa Rivaldi, che si estendeva sulla sommità del colle fino alle spalle della Basilica di Massenzio. Fu quindi intaccata la stratificazione archeologica, che si rivelò ricchissima di testimonianze di epoca romana, in particolare i resti di una domus con affreschi ben conservati e numerose statue. Ma la scoperta più sorprendente fu fatta il 20 maggio 1932, quando vennero alla luce numerosi resti di fauna fossile, tra i quali il cranio e la zanna di elefante Elephas (Palaeoloxodon) antiquus costituiscono il reperto più famoso. La notizia ebbe immediata risonanza sulla stampa. Antonio Muñoz, Direttore della X Ripartizione Antichità e Belle Arti del Governatorato di Roma e supervisore dei lavori, scrisse che «qui, sotto la collina della Velia era il giardino zoologico della Roma preistorica». Le operazioni di recupero si svolsero con grande celerità: l’Elephas, rimosso frettolosamente, fu poi trasportato nell’Antiquarium Comunale del Celio, «dove è stato dimenticato», come avrebbe poi scritto Antonio Cederna. La mostra si compone di quattro sezioni nelle quali, in un viaggio a ritroso nel tempo, sono illustrate alcune importanti tappe di questa storia: l’intervento di sbancamento con i progetti di sistemazione architettonica e le modalità di raccolta dei materiali archeologici rinvenuti; il complesso monumentale di Villa Rivaldi, fortemente manomesso dai lavori; le testimonianze di una ricca domus rimasta in uso per lungo tempo in epoca imperiale; la scoperta dei resti dell’Elephas antiquus. In questo racconto, oltre ai reperti archeologici, progetti grafici e oggetti d’arte vengono proposti al pubblico anche filmati d’epoca conservati negli archivi dell’Istituto Luce e un video con immagini degli archivi della Sovrintendenza Capitolina, utili ad approfondire i temi trattati in mostra. Nella prima sezione è evocato l’intervento di sbancamento della Velia, evidenziando due aspetti di quel gigantesco cantiere urbano: i rinvenimenti, effettuati in assenza di criteri scientifici, di innumerevoli reperti archeologici e la sistemazione architettonica del taglio del colle in vista dell’apertura di via dell’Impero. Il primo aspetto è presentato in mostra attraverso una selezione di materiali archeologici rinvenuti durante le operazioni di sterro, databili dall’epoca antica a quella moderna. Il loro allestimento apparentemente casuale vuole rendere l’idea della modalità di recupero dei materiali, raccolti senza distinzione di contesto di rinvenimento, e il loro stoccaggio in casse, poi accumulate nei depositi comunali. Rimandano invece al secondo aspetto alcuni disegni e progetti per il muro di sostegno del giardino di Villa Rivaldi, elaborati da Antonio Muñoz e dai suoi collaboratori. In parte inediti, i disegni mostrano la varietà delle soluzioni ideate. La seconda sezione è dedicata al giardino di Villa Rivaldi, splendida residenza costruita sulla sommità della Velia da monsignor Eurialo Silvestri a partire dal 1542. Passata nelle mani di diversi proprietari, nel 1660 la villa fu venduta dal cardinale Carlo Pio di Savoia al Conservatorio delle Zitelle Mendicanti, istituzione destinata all’accoglienza e all’educazione di fanciulle abbandonate. Alla vigilia dello sbancamento della Velia il Governatorato di Roma commissionò a Maria Barosso e Odoardo Ferretti alcune vedute del giardino della villa, che di lì a poco sarebbe stato distrutto. L’iniziativa si colloca in una prassi diffusa nel periodo: si pensava infatti che la pittura fosse più adeguata della fotografia – ritenuta un semplice metodo meccanico di riproduzione di immagini – a rendere il fervore dei lavori in corso o a documentare in maniera appropriata i frequenti rinvenimenti di antichità. I dipinti esposti in questa sala sono il frutto di quel lavoro. La terza sezione è riservata alle testimonianze della decorazione pittorica del criptoportico di una grande domus di epoca imperiale romana intercettata dagli sterri, le cui imponenti strutture furono completamente demolite. Il complesso si articolava su due livelli, di cui quello inferiore con criptoportico dotato di un ninfeo; al piano superiore si impostava un cortile porticato a pianta rettangolare. La decorazione era costituita da due distinte fasi pittoriche, una di fine I-inizi II secolo d.C., l’altra di fine II-inizi III secolo d.C., riprodotte da Ferretti con acquerelli, alcuni dei quali esposti in mostra. Per la prima volta vengono presentati al pubblico quattro frammenti di affreschi, recuperati prima della demolizione delle strutture. Vi sono raffigurati personaggi e animali, che decoravano i riquadri in cui erano scandite le pareti nella seconda fase pittorica. Nella quarta sezione, infine, sono esposti i resti del cranio e della difesa (zanna) sinistra dell’elefante antico Elephas (Palaeoloxodon) antiquus, rinvenuto nello strato geologico a circa 11 metri dalla sommità della collina. Tre acquerelli di Barosso e l’olio di Ferretti conducono lo spettatore nel vivo delle fasi di apertura del taglio della Velia, con il primo apparire del Colosseo, la messa in luce dei resti del cranio e della difesa di elefante adagiati in corrispondenza del tracciato della via dell’Impero e, infine, la maestosa stratificazione geologica messa in luce dall’avanzare dei lavori.
Mostre | Mostra

Il video rende felici. Videoarte in Italia

Museo di Roma

La mostra a cura di Valentina Valentini si articola in due spazi, Galleria d’Arte Moderna e Palazzo delle Esposizioni. Soggetto della mostra è la produzione di videoarte e cinema d’artista in Italia dalla fine degli anni Sessanta al nuovo secolo. Promotrice di iniziative esemplari e pionieristiche, l’Italia rappresenta un punto di riferimento artistico culturale per la sperimentazione video per varietà, qualità e respiro internazionale. In mostra 19 installazioni a cui si aggiungono oltre 300 opere raccolte all’interno di rassegne dedicate, per un totale di oltre 100 artiste e artisti coinvolti. Il percorso espositivo si snoda attraverso la molteplice varietà di formati espositivi: video monocanale, installazioni video, multimediali, interattive, con l’intento di evidenziare le interferenze del video con il cinema, la tv, il teatro, la danza, la fotografia, le arti plastiche. Alle opere esposte si affiancano i numerosi documenti, bozzetti, disegni, locandine, manifesti, fotografie e cataloghi, che ne ripercorrono il processo produttivo e il contesto storico. Questa dimensione intermediale è analizzata in ciascuno spazio da una diversa prospettiva così da creare un’articolazione autonoma e nello stesso tempo interrelata nelle due sedi espositive. Alla Galleria d’Arte Moderna si espongono sia installazioni sia opere monocanale provenienti dai centri di produzione e disseminazione della videoarte, attivi in Italia sin dagli anni ’60, con una forte vocazione internazionale. Sono poste in luce le relazioni tra la videoarte, l’architettura radicale e il design postmodernista; le ibridazioni fra video e danza e fra video e teatro. Una ampia sezione è dedicata alle sperimentazioni televisive e ai programmi televisivi realizzati da artisti e a una selezione di Festival video. Tra le installazioni opere di Fabio Mauri, Daniel Buren, Bill Viola, Cosimo Terlizzi, Umberto Bignardi, Masbedo, Fabrizio Plessi, Franco Vaccari. Al Palazzo delle Esposizioni sono evidenziate le trasformazioni del formato installativo nel suo dialogo con lo spazio e con i dispositivi tecnologici, in un arco cronologico che va dalla fine degli anni Sessanta al XXI secolo. L’Italia è stata promotrice di progetti esemplari e pionieristici e rappresenta un punto di riferimento artistico-culturale per la sperimentazione video. Varietà, qualità e respiro internazionale caratterizzano le iniziative legate a questo medium fin dai primi anni Settanta, in un contesto caratterizzato dalle nuove estetiche emerse con l’arte ambientale, la body art, l’arte povera, la musica sperimentale, la controinformazione e le nuove forme di teatro e danza. Dalla fine degli anni Settanta la videoarte acquisisce forme complesse di ibridazione attraverso l’utilizzo sperimentale del video, in televisione come nel teatro e nella danza fino all’emergere delle prime forme di computer art. Negli anni Novanta il formato installazione (video e multimedia) trova nei musei, nelle gallerie e in istituzioni come la Biennale di Venezia, una grande accoglienza, favorito dal diffondersi delle tecnologie digitali. Infine nel nuovo secolo si accentua l’assimilazione della videoarte nel vasto territorio dell’immagine in movimento trasformato dalle tecnologie digitali. Sono in programma rassegne di film d’artista e video, tavole rotonde e performance dal vivo. Il progetto è promosso da Ministero della Cultura – Direzione generale Creatività Contemporanea, Roma Culture - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Azienda Speciale Palaexpo. Con il patrocinio di Sapienza Università di Roma, Università degli Studi di Udine e Università degli Studi di Milano Bicocca. In collaborazione con AAMOD | Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Cineteca Nazionale | Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, Lo schermo dell’arte | festival di cinema e arte contemporanea, RAI Teche, La Camera Ottica, Riccione Teatro. Con la collaborazione scientifica di Sapienza Università di Roma | Dipartimento di Design Pianificazione, Tecnologie dell’Architettura. Organizzazione di Azienda Speciale Palaexpo, Roma Culture - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e Zètema Progetto Cultura.
Mostre | Mostra

I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini

Museo di Roma

In esposizione un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli. In due sale di Palazzo Clementino ai Musei Capitolini, accanto al Medagliere, una preziosa selezione di oltre 660 marmi policromi di età imperiale provenienti dalla collezione capitolina e dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli. Grazie ad un comodato gratuito decennale, l’allestimento offre una visione sull’immensa quantità di pietre importate a Roma: un’occasione unica per ripercorrere, attraverso forme, colori e fantasie, la storia millenaria della capitale da un punto di vista artistico ma anche socioculturale, politico ed economico. L’uso dei marmi policromi caratterizzò infatti in modo determinante l’architettura romana di età imperiale. L’allestimento si sviluppa in due sale. Nella prima sono esposti 82 frammenti policromi provenienti dalla Fondazione Santarelli; l’altra ospita due coppie di campionari, una del primo ’800 con 422 pezzi, sempre della Fondazione, l’altra pertinente alla collezione Capitolina, iniziata nella seconda metà dell’800 dalla famiglia Gui e costituita da 288 formelle. Nella stessa sala è presente anche una testa di Dioniso montata su busto non pertinente femminile (composta da otto tipologie marmoree diverse e una selezione di strumenti per la lavorazione del marmo provenienti dalla bottega Fiorentini). In loop viene proiettato un documentario, a cura di Adriano Aymonino e Silvia Davoli, che ripercorre la storia di queste materie giunte a Roma in relazione alla politica di espansione dell’impero. L’allestimento vuole raccontare la stretta connessione tra la presenza di materiali non-autoctoni alla città di Roma e l’espansione politica, economica e geografica dell’antico Impero Romano, tracciando territori e reti geografiche attraverso la storia e la memoria. Infatti, poiché le grandi strade dell’impero partono dal centro della città antica, la collocazione dei marmi rispecchia le cardinali da cui giunsero a Roma. Ne consegue un colpo d’occhio istruttivo, che indica le civiltà più avvezze alla lavorazione del marmo al momento della conquista romana. L’uso di alcuni marmi colorati risale al Neolitico o alla tarda età del bronzo, come il duro serpentino verde. In Egitto i faraoni sfruttarono qualità diverse e l’ultima loro dinastia, i Tolomei (305 – 30 a.C.), ampliò il repertorio con porfidi e alabastri, che saranno in seguito apprezzati a Roma. Qui prevalse a lungo il rifiuto del lusso, preferendo idee e materie tratte dalla tradizione. L’introduzione di alcuni marmi colorati risale al periodo repubblicano, come il giallo antico e il pavonazzetto, mentre la loro diffusione è da collegarsi all’imperatore Augusto. Il maggior assortimento di marmi colorati risale ai Flavi (69-96 d.C). Molte cave divennero imperiali con gli Antonini, che accrebbero quelle extra italiche. Le tinte erano ravvivate da levigature, grassi o cere e dovevano correlarsi a dipinti e decorazioni, andati quasi tutti perduti. Estrazione, lavorazione e trasporto necessitavano di moltissimi addetti, i quali dovevano essere bene addestrati e disciplinati. È possibile che Augusto e i successori abbiano voluto deliberatamente finanziare queste attività anche per favorire l’amalgama etnica e sociale entro l’enorme estensione dell’impero, volendo coinvolgere economicamente i popoli conquistati. I costi furono comparabili a quelli di campagne militari e devono aver avuto motivazioni adeguate. Ma il motivo non è del tutto chiaro. È stato interpretato come desiderio del lusso, di aumento del gettito fiscale e di rappresentazione simbolica dell’estensione imperiale. La progressiva dissoluzione militare, politica, amministrativa ed economica occidentale, che corrisponde all’Alto Medioevo, vide chiudere la maggioranza delle cave e successivamente la forte tendenza al riuso di materiali antichi. Si andò sviluppando un’arte nuova, che avrebbe sfruttato in modo originale i marmi colorati. Si diffusero i pavimenti con lastre reimpiegate intere o sminuzzate, a formare motivi geometrici. Le tinte di qualche marmo antico echeggiarono nell’architettura romanica e gotica, in Toscana e in altre regioni, facciate e campanili striati di bianco e di rosso (o verde), imitavano il porfido e il serpentino, come fece più esattamente anche la pittura trecentesca. Nella più organica ripresa dell’antico, il Rinascimento, si nota un dato contraddittorio e trascurato: le vive tinte di Roma furono sbiadite o reinventate. Un cambiamento si deve alla maturità di Raffaello, nelle Stanze vaticane, a partire da quella dell’Incendio (1514-1517), dove sono congruamente dipinte diverse pietre colorate. A metà Cinquecento a Firenze si sviluppò la tarsìa marmorea (dal 1588 con l’Opificio delle Pietre Dure), che sembra riflettersi nello stile del Bronzino. Si diffusero allora anche i dipinti su ardesia e poi su altre qualità lapidee. I vivi colori di Roma innescarono presto un luogo comune: sarebbero stati eccessivi, corrompendo la misurata semplicità greca. È un’idea che riemerge nella storia dell’arte, nei giudizi su Manierismo e Barocco quali degenerazioni dell’equilibrio rinascimentale. Nel primo Rinascimento, quei colori dovevano vedersi meglio di ora, specialmente nei marmi, che non avevano subito secoli di spoglio, né l’azione dell’inquinamento. Eppure tante immagini della città li mostrano sbiaditi, fino al Neoclassicismo e ancora oltre. Può darsi che quel “filtro” servisse a rendere credibili le immagini riferite al passato, poiché qualcosa di simile si vede nel flashback cinematografico, spesso in bianco e nero o con colori alterati. Tali modifiche possono aver aiutato ad usare l’immagine artistica come macchina del tempo.
Mostre | Mostra

Francesco Messina. Novecento Contemporaneo

Museo di Roma

Una ricca selezione di bronzi, terrecotte e gessi raffigura la vitale attualità dell’arte del maestro tra tradizione e modernità. La mostra propone al pubblico l’attività di Francesco Messina e dello Studio Museo milanese che porta il suo nome rappresentando sia il rapporto con la tradizione – classica, rinascimentale e ottocentesca – sia il dialogo con la contemporaneità, restituendo quindi l’ancora vitale e stimolante attualità del lavoro dello scultore e il senso profondo dell’attività di valorizzazione che lo Studio Museo Francesco Messina ha condotto a partire dal 2014, in primo luogo, grazie all’attività espositiva. Francesco Messina (1900-1995), siciliano di nascita, ma milanese di adozione, delinea fin dall’inizio del proprio percorso artistico un preciso orientamento verso la grande tradizione artistica della scultura di figura, con l’uso di tecniche e materiali classici – il bronzo, il marmo, la cera, la terracotta, il gesso – intercettando il gusto di un pubblico distante dalle sperimentazioni più ardite, che lo segue anche sui più noti rotocalchi italiani del secondo dopoguerra. Nonostante il riferimento costante alla tradizione dell’intera produzione dell’artista, la mostra Francesco Messina. Novecento Contemporaneo non restituisce il profilo di uno scultore arroccato in un sentimento di nostalgia verso un passato remoto da cui trarre suggestioni e contaminazioni, ma viceversa ricostruisce una personalità dinamica che, in ogni stagione, ha saputo maturare un nuovo approccio alla tradizione, di volta in volta rielaborata e adeguata al linguaggio del proprio tempo, e che ha dimostrato, nella sua produzione, di saper precorrere ricerche poi sviluppatesi in epoche più recenti. La mostra può essere considerata un banco di prova per verificare questa specifica vocazione dell’artista ovvero la sua appartenenza a un tempo senza tempo, quale depositario consapevole dell’antico mestiere del fare scultura. A questo scopo, trovano collocazione nelle sale del Casino dei Principi 81 opere (soprattutto bronzi, terrecotte e gessi) che appartengono alla collezione permanente dello Studio Museo Francesco Messina e opere di quindici artisti contemporanei (cyop&kaf, Vanni Cuoghi, Salvatore Cuschera, Giovanna Giachetti, Alberto Gianfreda, Andi Kacziba, Giulia Manfredi, Francesco Merletti, Daniele Nitti Sotres, Francesca Piovesan, Nada Pivetta, Dominique Robin, Daniele Salvalai, Elisabeth Scherfigg, Andreas Senoner), che si confrontano con le sculture di Francesco Messina e che illustrano, per tappe significative, la linea programmatica e l’attività di valorizzazione condotte dallo Studio Museo negli ultimi anni. La collezione permanente – selezionata, nel suo nucleo principale, dallo stesso Messina alla metà degli anni Settanta, al momento della nascita dello Studio Museo – riassume la produzione dell’artista in modo articolato, abbracciando un arco cronologico che, dagli anni Trenta, giunge fino ai primi anni Ottanta del secolo scorso. Di questo nucleo fanno parte opere emblematiche che sono esposte a Villa Torlonia: le fusioni dagli originali che, negli anni Trenta, furono selezionate dalla Biennale di Venezia per rappresentare l’Italia nelle mostre all’estero organizzate da Antonio Maraini (come Bambino al mare, 1935); i ritratti che restituiscono il clima culturale degli anni compresi tra le due guerre (come il Ritratto di Salvatore Quasimodo, 1937); i bozzetti per importanti commissioni monumentali (la serie dei cavalli che precede la realizzazione del Cavallo della RAI del 1966, i bozzetti per il Monumento a Pio XII in San Pietro); le sculture femminili in terracotta e in gesso policromo degli anni Settanta. L’esposizione romana si articola in sezioni che ruotano attorno ai temi principali della ricerca di Messina: il ritratto tra archeologia e contemporaneità, l’approccio alla tradizione con uno sguardo moderno, l’indagine anatomica, il colore, la scultura monumentale. Il percorso è arricchito da due video-interviste del 1973 che mostrano Francesco Messina all’interno dello Studio Museo (Io e… di Anna Zanoli, in cui lo scultore racconta il suo rapporto con la Pietà Rondanini di Michelangelo e Incontri – Fatti e personaggi del nostro tempo in cui Messina, intervistato da Franco Russoli, realizza un bozzetto in creta). A cura di Maria Fratelli, Chiara Fabi e Chiara Battezzati, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con il Comune di Milano e lo Studio Museo Francesco Messina.
Mostre | Mostra

ANNI INTERESSANTI. Momenti di vita italiana 1960 - 1975

Museo di Roma

Attraverso un’accurata selezione di fotografie e documenti visivi dell’Istituto Luce, la mostra Anni interessanti è un viaggio per gli occhi, intenso e rivelatorio di un periodo di storia nazionale, dal 1960 al 1975, che ha segnato indelebilmente il volto e l’identità del paese. La mostra al Museo di Roma in Trastevere è un’ideale prosecuzione alle precedenti proficue collaborazioni tra Roma Capitale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e l’Istituto Luce rappresentata dalle mostre di War is Over che raccontava l'Italia della Liberazione e Il Sorpasso un affresco dell'Italia all’alba della modernità. Anni interessanti prende in prestito, e omaggia, il titolo dell’autobiografia di Eric J. Hobsbawm, il grande storico del secolo breve e descrive con simile rapidità di sintesi e sguardo, la volata di un periodo cardinale, vissuto dagli italiani come una corsa verso la modernità. 124 immagini, tutte in bianco e nero, dalla prima, il completamento della costruzione del grattacielo Pirelli a Milano, all’ultima che ritrae una Radio libera nata nel 1975, in un percorso non didascalico che predilige le associazioni segno delle temperie di una stagione di antinomie e di vivacissime contraddizioni. Le foto provengono da alcune delle più storiche agenzie fotografiche italiane: la VEDO e la DIAL, i cui fondi sono conservati nel grande Archivio Luce; la Publifoto Roma, e Archivio Farabola. Accanto alle immagini dei grandi artisti del reportage come Gianni Berengo Gardin, Pino Settanni, Carlo Cisventi, Caio Mario Garrubba, si possono vedere i lavori dei fotografi che sono passati alla storia proverbialmente come i paparazzi, autori in grado di cogliere la società di nascosto e di sorpresa e di fare scoop e insieme critica di costume di raffinata estetica, ma anche di fotografie anonime di altissima qualità. Completa la mostra un catalogo, per la cura di Enrico Menduni, edito da Electa, con testi del curatore e di Chiara Sbarigia, presidente di Cinecittà, che riproduce tutte le immagini presenti in mostra, con una descrizione degli Archivi fotografici e un prezioso Regesto.
Mostre | Mostra

Il chiostro animato - lo spazio è solo rumore

Museo di Roma

Mostra in quattro atti che presenta gli interventi artistici di Michela de Mattei, Salò, Bea Bonafini ed Emiliano Maggi. Con Il chiostro animato - lo spazio è solo rumore si intende ricreare una serie di esperienze audio immersive, delle vere e proprie pause d’ascolto, momenti estatici e meditativi in grado di far oscillare il visitatore fino a uno stato di quiete trascendentale in grado di superare ogni forma di temporalità collettiva. La collisione dei quattro artisti coinvolti plasma il progetto armonizzando un coro di voci che danno forma a una mutevole entità fluida non comprimibile. Michela de Mattei, il gruppo musicale Salò, Bea Bonafini ed Emiliano Maggi sono i quattro artisti protagonisti del progetto che prende vita nel cuore pulsante del Museo di Roma in Trastevere: il suo chiostro esterno, luogo che per l’occasione si anima grazie alle sonorizzazioni degli artisti. Da sempre particolarmente legati alla ricerca musicale e alla sperimentazione sonora, presentano singolarmente - e per un periodo di tempo dedicato - una traccia autoriale che è accompagnata, nelle sale interne del Museo, da un loro video e contenuto testuale. Se da un lato i tre diversi medium si fondono in un’entità più complessa e completa, dall’altro il nucleo narrativo dell’intera mostra si basa sull’impossibilità di conoscenza tramite lo smembramento delle entità costitutive. Primo atto - Michela de Mattei dal 20 maggio al 26 giugno 2022 Ad aprire la mostra con il primo atto è l’artista Michela de Mattei (Roma 1984), la quale, mediante la reinterpretazione e l’uso del suono e dell’immagine in movimento, costruisce scenari immaginari e associazioni inusuali tra animali, ambienti, oggetti e persone, al fine di indagare le differenti modalità di controllo dell’uomo sulla natura. Per Il chiostro animato, de Mattei con la sua Sinfonia per orci culla lo spettatore negli abissi di un mondo onirico sommerso attraverso melodie sognanti che narrano di antiche memorie incantate. Secondo atto - Salò dal 1° al 24 luglio 2022 Il secondo atto vede come protagonista il progetto musicale Salò (Roma 2019) formato da Toni Cutrone, Stefano Di Trapani, Cosimo Damiano, Emiliano Maggi e Giacomo Mancini. Musica noise, scenari psichedelici, simbolismi mitologici, ritualità, costumi barocchi e iconografia rurale compongono l’immaginario del gruppo che scardina ogni regola dell’intrattenimento artistico contemporaneo. Recentemente presenti alla Biennale di Venezia, le loro installazioni sonore sono spesso delle messe in scena visionarie con riferimenti più o meno espliciti alla tradizione popolare e folkloristica romana. Stornelli e musica rock rievocano le voci di reietti ed eretici, narrando e musicando i racconti di coloro che, nel corso della storia, hanno rifiutato ogni tipo di struttura e sovrastruttura. Terzo atto - Bea Bonafini dal 29 luglio al 4 settembre 2022 Il terzo atto è animato dalle opere di Bea Bonafini (Bonn 1990), la cui ricerca artistica si concentra sulla sperimentazione attraverso tecniche eterogenee. Il suo lavoro è profondamente installativo e combina abilmente iconografia storica e tradizioni pittoriche moderne in una sensuale e intima immediatezza. Nel lavoro sonoro che presenta per l’occasione, Bonafini condensa in un’unica traccia tre mesi di residenza a Roma: registrazioni, pensieri e suoni della sua permanenza nella capitale vengono collezionati e tradotti in un vero e proprio diario sonoro in cui l'artista, con la sua stessa voce, introduce l’ascoltatore a un cosmo frammentato di fluide metamorfosi. La traccia riempie lo spazio di un’atmosfera sospesa e galleggiante, in cui i confini tra umano e non umano si assottigliano, moltiplicandosi e collidendo inesorabilmente. Quarto atto - Emiliano Maggi dal 9 al 25 settembre 2022 Il quarto atto e ultimo è dedicato a Emiliano Maggi (Roma 1977). L'artista è abile nel raccontarsi impiegando una poliedrica produzione artistica che comprende la performance, la produzione di gioielli, il progetto musicale Estasy, lavori pittorici e infine la ceramica. La sua ricerca da sempre combina scenari psichedelici a simbolismo mitologico, ritualità e iconografia rurale fiabesca a ipnotiche ambientazioni da horror anni ‘70. Attraverso la sua indagine, intende abbattere ogni forma di barriera fisica prestabilita per poter abbracciare invece forme di conoscenza simbolica. L’esposizione, a cura di Beatrice Benella e coordinata da Carlo Pratis di Operativa Arte Contemporanea.
Mostre | Mostra

Arctic Tales

Museo di Roma

Le 50 immagini fotografiche realizzate tra il 2018 e il 2019 dalla fotografa milanese Valentina Tamborra sono frutto di due reportage sull’Artico nati dalla sua residenza: Skrei - Il Viaggio e Mi Tular - Io sono il confine. Il primo, Skrei - Il Viaggio, prende il nome da un’antica espressione vichinga å skrida che significa viaggiare, migrare, muoversi in avanti, ma soprattutto è un viaggio fotografico per evidenziare il legame tra Italia e Norvegia. Infatti, il viaggio di Valentina Tamborra inizia nella Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma e quindi nella Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, dove sono conservate le testimonianze dell’avventurosa navigazione di Pietro Querini nel 1432, sopravvissuto al naufragio della sua nave, alle isole Lofoten e soccorso dai pescatori locali dai quali apprende i metodi di conservazione del merluzzo, che esporta a Venezia al suo ritorno. Con Mi Tular - Io sono il confine Valentina Tamborra si sposta nelle Isole Svalbard, un lembo di terra ghiacciata incastonato nel Mar Glaciale Artico, dove orsi polari e persone si contendono un confine invisibile. La parola Tular, che in antico etrusco significa Io sono il confine, riporta alla mente il mito dell’Ultima Thule, l’ultima isola al di là del mondo conosciuto.
Mostre | Mostra

Robert Doisneau

Museo di Roma

Una retrospettiva, a cura di Gabriel Bauret, sul celebre fotografo francese, attraverso oltre 130 immagini provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge. Lo scatto al bacio della giovane coppia, indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi, è una delle fotografie più conosciute al mondo. L’autore è Robert Doisneau, il grande maestro della fotografia al quale è dedicata la mostra al Museo dell’Ara Pacis. L’esposizione, a cura di Gabriel Bauret, è promossa e prodotta da Roma Culture - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Silvana Editoriale Project. Supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura. Catalogo Silvana Editoriale. Radio partner Dimensione Suono Soft. Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati. In mostra sono esposte oltre 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge. È in questo atelier che il fotografo ha stampato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi. Vi raccontiamo alcune foto in mostra nella serie di Video Podcast Dieci foto per dieci storie⁠
Mostre | Mostra

Compositio Oppositorum
di Antonio Taschini e Andrea Meneghetti

Museo di Roma

Oltre trenta opere site specific in cui s’incontrano due materiali, in apparenza antitetici, in un dialogo continuo tra i due artisti. La mostra si focalizza su un doppio percorso dell'incontro di ferro e argilla, due materiali apparentemente antitetici scelti come materia nella ricerca dei due artisti in un dialogo continuo, che propone al pubblico una visione moderna, in sinergia con la linea classica, in oltre trenta opere site specific, tra le quali un’opera realizzata a quattro mani e dedicata al museo che la ospita. Come sostenuto nel testo critico di Domenico Iaracà: “Decisamente significativa l'ambientazione in spazi del museo che – dalle origini romane della loro costruzione ai graffiti in carboncino risalenti alla fase di utilizzo cinquecentesca del bastione, per finire con gli interventi di inizio ‘900 – rappresentano un esempio emblematico della continuità d'uso nel corso di circa due millenni, dalla classicità ad oggi”. Le Afroditi contemporanee di Meneghetti ripropongono divinità dai mille volti che traspaiono in filigrana nei mille momenti del nostro vivere, dall’alternanza delle stagioni e dei momenti atmosferici alle nostre sensazioni quotidiane. Le Panoplie di Taschini presentano esseri ibridi che ai canoni e ai motivi della statutaria classica sovrappongono microcircuiti di un futuro non sappiamo quanto lontano, in un panorama in cui utopia e distopia si confondono impercettibilmente. “Nella mostra Compositio Oppositorum gli opposti si combinano, in una dialettica unica come dal titolo. Legata alla nozione di dualità, in senso profondo. L'esistenza e la sua identità dipendono dalla coesistenza delle opere dei due artisti, tanto simili nella ricerca quanto opposte nella trasfigurazione e nella loro espressione e nella scelta dei materiali, ma tra loro dipendenti e che si presuppongono a vicenda,” racconta la curatrice Sveva Manfredi Zavaglia, “le sculture di entrambi gli artisti definiscono la figura umana, ognuno attraverso la lente della propria ricerca interiore. Il collante della mostra è la condivisione”. Antonio Taschini, artista romano e musicista professionista. Espone da oltre un decennio, in musei pubblici e gallerie private, anche all’estero. La Galleria di riferimento è lo spazio bianco, Milano. Nei primi mesi del 2022 ha partecipato alla Biennale Keramikos, “Ethos”, curata da Vittorio Sgarbi. Andrea Meneghetti, artista nato a Bassano del Grappa (VI) dove vive e lavora. Tra il 2017 e il 2021 ha esposto nei musei archeologici di Vicenza, Terni e Treviso. Nel 2021 una sua opera è entrata a far parte della collezione dei Musei Civici di Treviso. Le sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private, in Italia e all’estero.
Mostre | Mostra

Biodiversità a Roma

Museo di Roma

32 fotografie di Bruno Cignini, zoologo, scrittore e divulgatore scientifico e 11 acquarelli dell’illustratrice Eva Villa. Un inedito racconto per immagini, unico nel suo genere, alla scoperta degli animali e degli ecosistemi che contraddistinguono la città (aree protette, ville storiche, aree archeologiche, fiumi e specchi d’acqua. In considerazione della recente introduzione della "tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi" negli articoli 9 e 41 della Costituzione italiana, l’argomento è di massima attualità e di notevole importanza per i visitatori. In particolare, sono evidenziate le numerose specie animali presenti nei principali ambienti cittadini, fornendo indicazioni sulla loro distribuzione, le loro abitudini e il loro ruolo all’interno dell’ecosistema urbano, al fine di acquisire una maggiore consapevolezza per la tutela della biodiversità e, più in generale, dell’ambiente. Inoltre, sono forniti consigli sui comportamenti corretti da tenere in caso di incontro con la fauna urbana e sul metodo per attirarla con nidi e mangiatoie. La mostra è corredata da una serie di attività didattiche, tra cui visite guidate, osservazione e birdwatching in villa, laboratori per bambini e per adulti realizzati in collaborazione con Centro Recupero Fauna Selvatica LIPU Roma, Città del sole e Swarovski Optik Italia. L’esposizione, curata da Gina Ingrassia, è promossa da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali realizzata da Pandion ed. e Inmagina con il patrocinio della Lega italiana protezione uccelli – Lipu. I servizi museali sono a cura di Zètema Progetto cultura.

Non hai un login? Allora registrati ora qui!

Si è ricevuta un'e-mail di registrazione. Si prega di cliccare sul link contenuto.